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Cosa si nasconde dietro la dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva nelle donne spesso si origina da una mancanza di riconoscimento della forza del Femminile. Quando la Donna non si trova, ha bisogno di un Uomo.

In questo articolo vediamo cosa si nasconde dietro la dipendenza affettiva e come ritrovare il potere del femminile e liberarsi dei legami malsani.

Perdita del potere femminile

La Donna da lungo tempo ha visto screditata la sua figura in maniera importante e ha finito per credere di essere debole e di avere la necessità di appoggiarsi a qualcuno per poter resistere alle tempeste della vita.

Numerose sono le coppie in cui la figura femminile si sente persa senza il proprio uomo accanto. É l’uomo che prende le decisioni più importanti, è l’uomo che mantiene la famiglia, è l’uomo che trova una soluzione quando le cose non vanno. E la donna si siede, si accomoda in questo ruolo di “second’ordine” sentendosi spegnere dentro, ma spesso senza troppa consapevolezza.

Quando la Donna non sente il suo potere sceglie un uomo forte, che la protegga e che colmi quella voragine che la abita, rendendola sempre più dipendente e incapace di cavarsela da sola. La paura prende quindi il sopravvento su ogni decisione alimentando così un circolo vizioso. Un femminile spento si trascina in una sopravvivenza quotidiana.

Tuttavia ogni cosa sembra  in perfetto equilibrio. Si pensa di amare profondamente il proprio compagno di vita, perché senza di lui non si può stare.

Ma lentamente la gabbia si stringe sempre più attorno al corpo della Donna e presto o tardi le toglierà il fiato.

È quello il momento in cui il femminile emerge ed esplode in tutta la sua potenza.

         “Ritrovati Femmina, ritrovati perché hai bisogno di credere che tu per Te ci sarai sempre e non hai bisogno di altro”.

Ed ecco la Crisi, il dubbio che scredita ogni decisione presa in precedenza. Perché lentamente ma in modo sempre più pervasivo, la Donna si rende conto che in fondo non ha mai scelto davvero.

Quando non contatta il suo potere la Donna non riesce a scegliere

Quando non si è al proprio centro, infatti, è difficile sapere realmente cosa si vuole. Risulta difficile anche scegliere il proprio colore preferito, capire quali attività ci appassionano o riconoscere le proprie qualità. Spesso anche la scelta del proprio uomo comincia a venir messa in discussione. Dietro a quella forza da cui tanto ci si sentiva protette, emerge una cieca rigidità, dietro alla sicurezza da cui dipendeva il proprio stare erette, appare una fastidiosa arroganza.

Urge quindi un lavoro profondo di ri-connessione con il proprio Sè, un lavoro psicologico di rivalutazione di ogni aspetto della propria esistenza partendo dalle basi. La Donna deve conoscersi, far pace con le proprie ombre e capire qual è la vita che realmente vuole. Ed ecco quindi che oltre a riemergere il femminile, viene rispolverato anche il proprio maschile interiore, la parte che sa scegliere, che sa dire la propria, che rischia e si butta nel mondo a testa alta.

Il nuovo equilibrio

E così progressivamente la Donna comprende che la voragine che sentiva svuotarla dentro, in realtà non era altro che la sua Anima che le implorava da tempo di guardarla, di ascoltarla e di vedersi in tutto il suo splendore.

Non ci sarà più bisogno dunque di aggrapparsi a nessuno e ci si riscoprirà indipendenti.

L’amore non sarà un’ancora di salvezza ma una meravigliosa esperienza di connessione di cuore tra due persone che non hanno alcun bisogno da colmare ma solo la voglia di viversi, di conoscersi, di nutrirsi vicendevolmente in una nuova avventura da condividere.

Ed ecco che ora la gabbia non esiste più e la Donna sa ciò che vuole. Il femminile, accogliente e amorevole, e il maschile, esploratore e determinato, stanno finalmente danzando dentro di lei, rendendola la splendente guerriera che osserva fiduciosa l’orizzonte in attesa di ciò che la vita le riserverà.

Ogni crisi viene per un motivo

Esistono diversi ambiti in cui si può entrare in crisi. Ognuno di essi è caratterizzato da una profonda confusione e da una mancanza di risposte. Ma in qualsiasi momento della vita arrivi, ogni crisi viene per un motivo.

crisi

Non solo rose e fiori

Siamo tendenzialmente portati a pensare che la vita debba essere felice, senza tanti intoppi e ben definita. Cresciamo con l’attesa di qualcosa di meglio che ci aspetta dietro l’angolo, con l’idea che il benessere sia giusto un passo in là rispetto alla nostra posizione.
E quando finalmente riusciamo a trovare un buon lavoro, il partner ideale e ad acquisire una posizione, ci rilassiamo e ci accomodiamo nella nostra zona di confort. Il quotidiano si plasma su una serie di routine che sanno di casa, in cui ci identifichiamo e sentiamo protetti. Il livello di attenzione si abbassa e le risorse che mettiamo in campo sono sempre le stesse.
La vita però tende ad essere imprevedibile e ad introdurre dei colpi di scena quando meno ce lo aspettiamo. La nostra fortezza subisce uno scossone e tutto ciò che credevamo definito, viene messo in discussione. La prima reazione è sicuramente di sgomento, di paura o forse anche di rabbia. L’idea di lasciare il lavoro in cui però magari non ci sentivamo perfettamente realizzati, di vedere andar via la persona con cui abbiamo condiviso un tratto di vita, oppure di essere noi a non sentire più gli stessi sentimenti che ci facevano battere forte il cuore, ci manda inesorabilmente in crisi.
Mille domande ci riempiono la testa e una serie indefinita di emozioni non ci lascia respiro. Cerchiamo soluzioni, colpevoli, vie di fuga per sentirci meglio ma la verità è che meglio ci sentiremo solo quando prenderemo consapevolezza. Nulla avviene per caso e se ciò che abbiamo creduto nostro, stabile, sicuro non esiste più, il motivo è da ricercare solo dentro di noi.
Cosa ci sta dicendo questa crisi, questo scombussolamento di tutte le nostre certezze?

 

Cosa possiamo imparare di buono da una crisi

Ogni crisi viene quando abbiamo imparato abbastanza da una situazione, quando abbiamo donato e ricevuto a sufficienza da una relazione, quando dobbiamo sperimentare nuove parti di noi. Perché in verità siamo programmati per evolvere.
Se lasciamo fluire le emozioni negative che inevitabilmente accompagnano questi momenti, senza aggrapparci ad esse per la paura dell’ignoto, ciò che rimane è qualcosa di nuovo, un foglio bianco da cui ripartire. Dietro ad ogni momento di confusione si nasconde infatti una nuova sfida, in cui siamo chiamati a trovare quelle risorse che abbiamo tenuto nascoste ed inutilizzate nello scantinato della nostra comfort zone.

“Arriverà… arriverà quel giorno in cui deciderai di spiccare il volo… perché tutti prima o poi ci rendiamo conto che non possiamo accontentarci di camminare, quando siamo in grado di volare… Perché la nostra anima scalpita, finché non diamo forma a tutto ciò che è in potenza dentro di noi”.

Che siano dunque benvenute queste battute di arresto, perché ci risvegliano dal torpore dell’idea che la vita ci richieda di dare il massimo solo fino a quando abbiamo raggiunto una certa stabilità, per poi spegnerci nella beatitudine della sicurezza.
Sperimentiamoci dunque sempre, in ogni occasione che ci richiede di rischiare, di dare il meglio di noi, di soffrire forse un po’ ma per raggiungere un benessere sempre più elevato, frutto di una sempre maggiore centratura e conoscenza di noi.

spiritualità

Come psicologia e spiritualità possono integrarsi

Sono convinta ormai da parecchio tempo che la spiritualità non risieda nelle diverse religioni, ma si celi nel Cuore e nell’Anima di ogni essere umano. Questa considerazione mi ha presto portato a comprendere che il divino non va ricercato solamente nei luoghi di culto e in momenti prestabiliti, ma vi si può connettere in ogni luogo e in ogni attimo in cui si rivolge lo sguardo al proprio interno.

Credo che sia importante comprendere che il divino non è solo un’eterea entità che sta altrove. Siamo spirituali anche quando realizziamo ciò che siamo. Contattiamo il divino quando ad esempio percorriamo la nostra strada, quando scegliamo il partner che fa per noi, quando sentiamo una grande pace nell’osservare un panorama mozzafiato.

 

Volersi bene

Una volta laureata, queste valutazioni mi spinsero a scegliere una specializzazione in psicoterapia transpersonale che sposa la visione olistica e la sua considerazione integrata di mente, corpo e spirito. Secondo questo approccio infatti l’equilibrio mentale e il benessere dell’individuo dipendono non soltanto da una buona gestione di conflitti ed emozioni, ma anche e soprattutto da una altrettanto importante salute fisica e spirituale. Da ciò si evince il bisogno di raggiungere in maniera ancor più profonda la conditio sine qua non di ogni percorso psicologico, il volersi bene. Conservare in salute il proprio corpo, ma soprattutto mantenere una buona connessione con il divino dentro di sé porta, infatti, ad una visione più pulita e armoniosa della vita, perché ci spinge ad onorare la nostra natura. Siamo così in grado di scegliere in maniera più consapevole solo ciò che ci fa stare bene, solo ciò che fa per noi, non accettando situazioni nocive per il nostro essere. In questo modo impediamo ad ulteriori problematiche di compromettere il nostro equilibrio mentale. 

 

Presupposti teorici

I primi approcci con il mondo transpersonale sono stati affascinanti, in quanto acquisivo teorie e tecniche che avvaloravano il mio sentire. Dagli archetipi e dall’inconscio collettivo di Jung alla corazza caratteriale di Reich, dai campi morfogenetici di Sheldrake alla respirazione olotropica di Grof, emergevano argomentazioni che mi facevano ben comprendere l’importanza che la spiritualità e il lavoro energetico hanno in ambito psicologico. Senza necessariamente parlare di terapia, tutto ciò che aiuta a far fluire in modo più armonico l’energia del corpo e a raggiungere una maggiore serenità e benessere non può che essere un valido supporto ad una generale condizione di salute psichica.

L’applicazione nella terapia

Senza entrare nello specifico delle caratteristiche dei lavori energetici che ho sperimentato, ciò che ha sicuramente colpito la mia parte da professionista è stata la capacità netta e indiscussa di queste esperienze di spegnere la mente razionale, al di là di ogni resistenza. 

Tutto ciò che aiuta a far fluire in modo più armonico l’energia del corpo e a raggiungere una maggiore serenità e benessere non può che essere un valido supporto ad una generale condizione di salute psichica”.

La maggior parte delle difficoltà che vivono i miei pazienti nascono nella mente e lì continuano ad alimentarsi con reiterati pensieri e riflessioni sul problema, che non fa altro che ingigantirsi. Lasciare invece che la mente faccia spazio a qualcosa di impalpabile, di inspiegabile, di divino, può a parer mio abbreviare molti percorsi di ricerca del benessere che con l’uso esclusivo della parola, impiegano un tempo più lungo. Non tutti sono predisposti a questi lavori in quanto non sempre è facile placare la parte razionale, ma molti pazienti hanno superato problematiche anche profonde, in tempi decisamente più rapidi.

 

Il ruolo del terapeuta

Infine vorrei aggiungere che dall’approccio transpersonale ho sicuramente fatta mia l’idea che il terapeuta sia un compagno di viaggio che non deve curare un malato, ma che deve aiutare tutti i pazienti a vedere con i propri occhi ciò che egli vede. In questo modo essi riusciranno a toccare delle realtà che sono al loro cospetto e che permettono loro di vivere in maniera più armoniosa ed equilibrata, ma alle quali sfuggivano per svariate ragioni, vivendo in uno stato di malessere. Il lavoro più importante è, dunque, quello del paziente che sostenuto e guidato dal terapeuta trasformerà la sua vita con le proprie mani, di modo che questo cambiamento non sia indotto, ma nasca e fiorisca nella sua Anima. In questo modo il cambiamento sarà più profondo, sentito e duraturo possibile.

 

 

Perché è bene imparare a dire la propria

Nascondersi sotto la gonna della mamma è, da sempre, un atteggiamento comune nei bambini. Indipendentemente dal proprio carattere, le situazioni nuove, le persone sconosciute suscitano un certo allarme, che spinge ogni bimbo a nascondersi dietro le gambe della propria mamma, prima di decidere di buttarsi o se buttarsi, nella nuova avventura.

C’è chi questo atteggiamento lo perde, crescendo e chi invece rimane ancorato a quelle gambe con la speranza che nessuno lo noti. La tendenza è quella di condurre una vita in disparte, timorosi di esprimere la propria opinione.
Le situazioni nuove continueranno a produrre ansia, agitazione e porteranno, in modo più o meno marcato, a ridurre gli interventi al minimo indispensabile. Solo se interpellati si risponderà alle domande, non potendo nascondere un palese e colorito imbarazzo.
Dietro a questo imbarazzo c’è, però, una grande ricchezza che va vista e a cui è importante dare spazio per riconoscere la forza della riservatezza, il potere delle parole misurate e non pronunciate a sproposito, ma con una profonda riflessione di base.

La scuola sarà stato il primo campo di addestramento per il silenzio. Alle domande della maestra o del professore si avrà risposto con un filo di voce, con la speranza che solo l’interessato avrà sentito ciò che si stava cercando di dire.

“La timidezza può essere invalidante già in tenera età, in quanto limita i rapporti con i compagni, porta ad auto-limitarsi anche quando si hanno grandi idee, ma di cui si diventa gradatamente meno convinti”.

Si cresce e questa pacata riservatezza diventa un’abitudine. Si parla allora di introversione e la descrizione tipica della persona introversa è la mancanza di carisma, lo spirito remissivo, la carenza di iniziativa. E questa etichetta che era stata appiccicata già dai primi colloqui con gli insegnanti diventa un pesante fardello. Perché essere introversi in una società dove l’apparenza, la furbizia e la leadership hanno il sopravvento, implica purtroppo un inevitabile posto in ultima fila.
L’aspetto complesso da considerare è che a quell’ultima fila ci si abitua, la si riconosce come casa, ci si sente a proprio agio e a poco a poco ci si spegne dentro. In termini psicologici tutto questo implica un vissuto impegnativo da gestire, accompagnato da una serie negativa di emozioni frastornanti che non fanno che alimentare il circolo vizioso.

Sentirsi definire introversi comporta una profezia che si auto-avvera e che implica che non ci si sforzi più di conoscersi, di esplorare il proprio mondo per trovare il proprio centro, il proprio benessere, ma ci si accontenta di riconoscersi come silenziosi e trasparenti. Si concorda con ciò che dicono gli altri, senza riflettere se la loro visione sia davvero concorde con la propria, perché si ha talmente paura di cantare fuori dal coro, di non venire accettati, che si finisce per non averne una propria di opinione.
Invece se la si pulisce di tutto il giudizio legato al tipo di società in cui si vive, l’introversione è semplicemente la parte complementare dell’estroversione, è un mondo che anziché crescere all’esterno, si sviluppa da dentro. Ma quel mondo c’è e bisogna solo imparare a dargli voce, imparando a dire la propria, anche se suona fuori dal coro.
Diventa perciò importante lavorare sugli inevitabili problemi di autostima, per fare pace con la tendenza ad essere sì silenziosi, ma anche sensibili, empatici e profondi. Riconosciuta la forza dell’essere diversi, si trova così il coraggio di dire la propria, magari sussurrando, ma facendo comunque esplodere un mondo interiore che merita un palcoscenico di tutto rispetto, magari a riflettori spenti, per non violarne la riservatezza.

Fase 2

Come sopravvivere al post quarantena

Covid-19

Le conseguenze del Covid-19 vanno ben oltre le problematiche fisiche. Le complessità più insidiose riguardano gli aspetti psicologici. Abituarsi a rimanere chiusi in casa è stato difficile, ma ora è necessario cambiare di nuovo assetto ed essere pronti ad uscire e ad affrontare le emozioni connesse a tutto questo.

È stato un periodo duro, durissimo. Tutte le nostre abitudini, le nostre sicurezze, i nostri punti di riferimento sono stati scardinati, senza preavviso.

Ciò che infatti ha costituito un’aggravante della questione è stata la necessità di adeguarsi ad una nuova situazione impostata, rigida, confusa, senza avere il tempo di rendersene conto. Oggi siamo a passeggiare in un centro città godendoci il calore del sole e da domani le scuole sono chiuse. 

Proprio così ricordo il mio ultimo giorno di quotidiana libertà. Una serena e pacifica domenica di relax, trascorsa a passeggiare e chiacchierare, tra un giro nei negozi e un pranzo all’aperto. Poi d’improvviso il gelo. In un’epoca in cui le notizie ci raggiungono in frazioni di secondo ovunque noi siamo, la domenica è stata stravolta in un attimo dalla paura. Il mio primo pensiero è stato: “Se arrivano a chiudere le scuole, la faccenda è seria”.

E da lì la faccenda è stata sempre più seria, sempre più tangibile, sempre più ingombrante. Rimanendo tuttavia sempre più confusa.

 

L’impatto a livello psicologico

Tanti gli elementi che hanno reso questo Covid-19 un virus ancora più aggressivo di quanto potesse essere. Ci ha aggredito in senso fisico, in senso emotivo, in senso sociale, in senso psicologico. Non abbiamo avuto più alcun appiglio che costituisse la nostra sicurezza intoccabile. 

Non siamo più stati sicuri, nemmeno nelle nostre case. Abbiamo, infatti, forse tutelato il nostro corpo, ma la mente si è turbata in modo inesorabile. L’ansia in gradi differenti da soggetto a soggetto l’ha fatta da padrone su tutte le altre emozioni. In particolare in relazione alla propria salute e quella dei propri cari e per la propria sicurezza economica.

Tutto questo periodo di inattività e di preoccupazione
hanno minato i nostri equilibri.

iorestoacasaSiamo arrivati alla fase 2, dopo un lungo periodo di mille dubbi sulla necessità di rimanere in casa, sull’efficacia dei DPI, sul futuro delle nostre attività, nutrendoci “soltanto” degli affetti più vicini. Ma in fondo ci siamo abituati. Abbiamo costruito il nostro nido su questo albero traballante e ci siamo adeguati ad una realtà paradossale, tra una chiacchiera virtuale e l’altra. 

 

Alcuni hanno vissuto una realtà a parte. Tutti coloro che non hanno mai smesso di lavorare, si sono “goduti” un mondo svuotato dal rumore, dal traffico, dal caos. Hanno tuttavia dovuto affrontare a muso duro la Paura di venire contagiati, essendo i prescelti, a dover stare in prima linea.

 

Fase 2 e siamo chiamati tutti ad uscire

Ora il momento ci catapulta fuori, bardati e distanti, ma necessariamente fuori.

Il cambiamento è repentino e importante. E ancora una volta ci viene richiesto di adeguarci ad un altro mutamento epocale, senza avere modo di metabolizzare. Sapevamo da tempo, pur sempre con un velo di dubbio, che ad un certo punto si sarebbe ripartiti, che le attività sarebbero riprese. Nessuno ci ha ovviamente chiesto se eravamo d’accordo, se eravamo pronti, se ne avevamo voglia. 

Si riparte punto.

E la nostra psiche ancora sballottata dalla fase 1, si immette ammaccata in questa carreggiata, un po’ recalcitrante. E dunque subiamo, accusando il colpo. 

Diverse possono essere le cause del disagio che si continua a vivere in questo momento storico, nella tanto acclamata fase 2:

  • Il virus non è debellato. La facilità di contagio è identica a quando è iniziata la quarantena e la possibilità, dunque, di ammalarsi non è cambiata affatto;
  • Si torna ad una normalità ma che tale non sarà per un tempo indefinito;
  • Rimane un senso di paura dell’altro, quale possibile portatore di un virus invisibile e la conseguente diffidenza sociale;
  • Le famiglie con figli, devono trovare modi nuovi per organizzarsi, con la ripresa del lavoro;
  • L’assoluta confusione che impera nell’informazione: come in ogni argomento, si dice tutto e il contrario di tutto, ma questa volta ad essere in ballo è l’incolumità. Si rischia di ammalarsi, accusando una serie imprecisata ed indefinita di sintomi, oppure si rimane sani, infettando gli altri. Ma nulla di tutto ciò è chiaro a nessuno. Questa evidente mancanza di chiarezza spiazza ogni mente razionale che ricerca naturalmente dei confini, dei paletti a cui aggrapparsi nei momenti di sconforto. 

 

Come agire per sopportare il disagio

ascoltoViene da chiedersi dunque come sopravvivere a tutto questo. Ciò che sicuramente aiuta è procedere per gradi, soprattutto se si avverte una repulsione ad uscire di casa. Laddove sia possibile, prendersi il proprio tempo per avviare questa ripartita. Concedersi qualche passeggiata nei dintorni, delle brevi visite a parenti ed amici, alternate alla nuova routine della vita solitaria casalinga, per permettere all’organismo e alla mente di capire che qualcosa sta cambiando di nuovo. È importante assaporare a piccole dosi il profumo del mondo là fuori, che fino a ieri ha rappresentato un nemico pericoloso e tornare a farci pace. 

 

Nel caso, invece, si fosse obbligati a ricominciare rapidamente,
rimane buona prassi l’ascolto attento di come ci si sente.

Pur nell’obbligo della ripresa, è bene valutare se il disagio che si avverte è sopportabile o se si necessità di un supporto esterno. Un sostegno psicologico può essere utile per dare voce ad emozioni che non vanno lasciate inespresse. Perché ciò che in realtà sembra essere più pericoloso di questo virus è l’attacco al benessere personale, l’aggressione ai propri equilibri. Siamo tutti chiamati a costruircene di nuovi, ma è essenziale che procediamo con cautela rispettando i nostri tempi e le nostre fragilità. La paura è una reazione naturale che in tempi lontani ci ha salvato la vita e che ancora oggi ci mette in allarme quando sentiamo che qualcosa non va come dovrebbe. Quindi se ben gestita ed integrata, quest’emozione può essere una buona compagna, perché ci insegna a procedere con attenzione. Il  panico invece blocca in maniera inesorabile. È meglio dunque prevenire, ascoltare il nostro disagio dandogli spazio e non aspettare che si trasformi in qualcosa di invalidante, con un percorso di cura più lungo e profondo.